Retrocomputing, ecologia e sostenibilità
5 Novembre 2014Lo scorso giovedì abbiamo avuto come gradito ospite Gabriele di Cambiamo.
A volte è molto stimolante avere un confronto su argomenti un po’ diversi dalla nostra specifica area di interesse, specialmente quando sono portati alla nostra attenzione con intelligenza e rigore scientifico.
Purtroppo il messaggio giunto alle nostre orecchie è decisamente “scomodo” e fa riflettere.
Non essendo in grado di esprimermi su questi temi con la competenza e abilità del nostro ospite, incollo qui alcune sue frasi:
Il capitale naturale ci serve innazitutto per vivere.
E poi per produrre degli oggetti.
La nostra economia non gli attribuisce un valore: aria, acqua, suolo, foreste, diversità delle specie sono fisicamente degli stocks, ma non compaiono nei conti.
Risultato: a forza di prelevare senza corrispettivi, ci stiamo avvicinando molto rapidamente all’esaurimento delle risorse terrestri. Anche quelle rinnovabili.
Senza di queste, non ci può essere economia, e neppure vita.
In quarant’anni, abbiamo dimezzato il capitale terrestre: per sostenere la produzione, stiamo utilizzando il futuro che spetterebbe di diritto ai nostri figli.
Già oggi, se lo ritrovano dimezzato.
Tempo addietro, noi umani abbiamo capito (prima grande rivoluzione culturale) che la Terra non è piatta. Abbiamo anche capito (seconda rivoluzione) che la Terra gira intorno al Sole. La terza, ancora ci manca: dobbiamo capire (velocemente) che la Terra è fisicamente limitata.
La tecnologia consuma quantità enormi di risorse. Va usata con parsimonia.
Se viene diffusa come merce di massa, asservendola al futile, diventa un flagello.
La complessità aumentata oltre certi livelli genera dei ritorni negativi nella società: i benefici diminuiscono, i danni crescono, e distruggono il sistema.
Le civiltà che ci hanno preceduto sono crollate per questa ragione, e noi siamo sull’identica strada: la “crisi” che perdura da sei anni è il segnale del rendimento che entra in fase decrescente.
Esiste la possibilità di trovare un equilibrio, ma bisogna ridefinire il concetto di progresso.
Per arrivarci, occorre che ogni cittadino che vive in questo tempo conosca i meccanismi elementari che governano il funzionamento del Pianeta, e si renda conto esattamente del consumo di risorse e della generazione di rifiuto di ogni singolo oggetto, e di ogni singola azione, di quelle che a centinaia si fanno ogni giorno, senza pensarci.
Queste valutazioni cambiano la misura di tutti i gesti e di tutti gli oggetti dei quali oggi sottostimiamo continuamente il valore.
“Se non ti occupi della realtà, la realtà si occuperà di te”.
E’ impossibile restare indifferenti a queste tematiche così difficili “da digerire”.
Sarebbe semplice stare a cercare il “pelo nell’uovo” andando a contestare il singolo indicatore, argomentando contro una particolare interpretazione di un dato o semplicemente preferendo una via più morbida per affrontare la questione.
In realtà credo che sia importante iniziare a renderci conto che forse non è possibile continuare in questo modo. Insomma, o abbiamo un problema o non l’abbiamo.
Se il problema c’è, è meglio che ci diamo da fare per cercare una soluzione e per sensibilizzare le persone a prendere coscienza della situazione, non certo rosea.
Cosa centra il retrocomputing ?
Poco in effetti, ma riflettendoci il fatto che andiamo a recuperare qualche vecchio computer, sottraendolo all’isola ecologica a cui è destinato, magari reimpiegandolo per un utilizzo ancora valido, un poco aiutiamo l’ambiente.
Sfruttiamo per una seconda volta le componenti elettroniche che contiene e sensibilizziamo le persone dimostrando che, anche se non è l’ultimo grido, può essere ancora utile, basta scegliere un sistema operativo più leggero e (perché no?!) open.
Se poi siamo così bravi da riuscire a regalare queste macchine recuperate ad associazioni che si sbattono (molto più di noi) per il bene delle persone in difficoltà, …. tanto meglio !